Il gruppo di lavoro. L’emergenza virus ha cambiato l’approccio dei roveretani nei confronti della città e degli altri. Architetti, ingegneri, artisti suggeriscono la riscoperta di spazi spesso ignorati che diventino le nuove piazze post Covid
ROVERETO. La pandemia e il conseguente lockdown hanno cambiato, forse per sempre, anche il nostro modo di vivere e l’approccio sociale. Anche oggi, con l’emergenza più lontana, evitiamo baci e abbracci, giriamo al largo, se vediamo troppa gente non andiamo ad aggiungerci al numero. Reazioni forse inconsce che però dimostrano un riflesso forte sulla nostra società di quanto successo. Da qui prende forma il “laboratorio” che è stato lanciato poco più di un mese fa da Maurizio Tomazzoni, assessore alla cultura e all’urbanistica. Al bando aperto avevano risposto 21 soggetti tra gruppi e singoli, architetti, ingegneri e anche artisti. Il loro compito: ripensare gli spazi della socialità. «Così il Covid diventa un’opportunità – spiega l’assessore – perché ci spinge a immaginare quali siano le nuove esigenze di una comunità sicuramente cambiata dopo il lockdown. Il Comune lo ha dovuto fare perché oggi si trova di fronte alle necessità di ristudiare gli spazi. Quelli culturali, per esempio: non più spettacoli con assembramenti e con regole rigide e limitanti; fiere con distanze precise; punti di aggregazione che rispondano a determinati requisiti. Ci siamo imposti di andare oltre l’emergenze e di studiare, con dei professionisti, come venire incontro alle nuove necessità. La risposta c’è stata e anche entusiasmante perché sono uscite tantissime idee. Alcune le stiamo già mettendo in pratica. Ma quella di fondo è estremamente interessante. Nell’affrontare la tematica degli spettacoli che non sono più spendibili nelle nostre piazze, siamo andati in città alla ricerca di spazi più piccoli, ma non banali, quegli spazi che sono i piccoli-grandi tesori della città, magari poco conosciuti ma che ora si prestano esattamente al duplice scopo di soddisfare le esigenze degli eventi e dare nuovi punti aggreganti e identitari ai roveretani. Un primo esempio lo abbiamo avuto aprendo le piazze ai plateatici. È stato un po’ come ridare ai pedoni gli spazi che le auto avevano sottratto loro negli anni e così li hanno fatto propri riscoprendo un nuovo e diverso punto aggregativo. O pensiamo a via Rialto, considerata solo asse di passaggio per “tagliare” la città: buttando fuori due tavolini e chiudendola per qualche ora è diventata più viva e più vivibile, il pedone si sente giustamente in diritto di ritenerla sua, fermarsi a fare due chiacchiere, rendendo l’auto un’intrusa. Il virus ha in qualche modo accelerato questa esplorazione di nuovi luoghi o la riscoperta di quelli poco considerati, come il Bosco della città che in estate ha visto un vero e proprio boom di presenze, di gente che ha scoperto che in un quarto d’ora a piedi siamo nel giardino della città per eccellenza. E poi anche il Leno, visto sempre come un segno di divisione della città ed è invece è una grande opportunità. Il “Laboratorio” suggerisce questi spazi e con alcuni piccoli accorgimenti si possono rendere utilmente fruibili. Il gruppo di idee è trasversale: è stato affiancato ai festival e all’organizzazione di manifestazioni, ma anche all’assessorato all’istruzione: anche le scuole hanno spazi da pensare; e al mondo delle associazioni che devono, anche loro, ridisegnare il loro approccio alle iniziative che organizzano».
Robert Tosin, quotidiano Trentino, 26 luglio 2020
Immagine ©tommaso-prugnola dal sito www.visitrovereto.it


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