Programma Elezioni Amministrative 2020

Le conseguenze della pandemia Covid-19 sta mettendo a dura prova la nostra società nel suo essere luogo di interazione e scambio collettivo. La necessità di salvaguardare la salute individuale ha implicato pesanti ricadute sull’economia che ricadono sulla qualità della vita. In questi mesi però abbiamo capito come l’interesse economico non è il motore della società, ed in ogni caso non può compensare la necessità dell’uomo di essere prima di tutto “animale sociale”. Superata l’emergenza serve agire per la ricostruzione della società e dei suoi legami più intimi. Le comunità che potranno contare su di una storia di valori e di etica solidale e di mutuo aiuto, come Rovereto e la Vallagarina, potranno prima e meglio di altre gettare le basi per recuperare una alta qualità di vita.

La pandemia ci ha presi alla sprovvista mostrando come le nostre certezze, dove nel tempo ci siamo arroccati, sono più fragili di quanto crediamo. Siamo stati costretti ad “isolarci” per salvaguardare la nostra salute e quella degli altri, abbiamo ridotto al minimo le nostre relazioni e i nostri spostamenti. Tutte queste limitazioni non fanno altro che riconfermare quanto siamo incredibilmente collegati, come le nostre esistenze siano interdipendenti le une alle altre e quanto la nostra vita sia intimamente legata a quella della comunità e dell’ambiente in cui viviamo.

Le domande che ci poniamo oggi sono tante:

– Come tornare a dialogare con gli altri senza avere paura?

– Come riprendere il contatto con l’ambiente in cui viviamo e col quale ci relazioniamo da sempre?

– Come riprendere coscienza del valore di aggregazione e crescita sociale insito nella nostra comunità e nel nostro territorio?

Sono domande a cui si devono dare risposte urgenti per non rischiare di rimanere soggiogati dalla clausura forzata, dalla paura che si respira ancora in modo marcato, dal dramma che ha condizionato e che sta modificando tante nostre abitudini. Questi cambiamenti “imposti” che non ci faranno ritornare alle consuete abitudini sociali e relazionali, sono quelli che devono spronarci a rimodellare gli spazi urbani dove vive e lavora la nostra comunità per ricostruire il senso di sicurezza e di fiducia che in questi mesi abbiamo in parte perso, e ritrovare soprattutto i segni dell’identità e dell’orgoglio di essere roveretani.

L’etica dei diritti umani non è esauriente per la vita pratica nel suo complesso; essa va coniugata con una dottrina morale che, da una parte sia capace di amministrare la società del pluralismo, dall’altra ha bisogno di apporti fondamentali ulteriori sul piano dei criteri di giudizio per il ritrovamento delle regole. L’universalità è pertanto un obiettivo da raggiungere piuttosto che un principio di partenza, che sappia tener conto del “diritto sussistente” proprio di ogni persona (cit. Rosmini). E’ qualcosa da realizzare e da conquistare piuttosto che una condizione preliminare di validità.

L’azione politica amministrativa pertanto deve essere incentrata sulla ricerca di ciò che è bene per l’uomo, di ciò che è giusto fare o non fare. Il dibattito che deve essere vivo e costruttivo porta alla questione che Norberto Bobbio si pone nell’interrogarsi sulla Politica: “Si tratta in tutte queste diverse sfere dell’attività umana sempre dello stesso problema: la distinzione fra ciò che è moralmente lecito e ciò che è moralmente illecito.”

Attualizzare un comportamento etico passa attraverso la condizione che i comportamenti razionali dell’uomo siano stati educati e programmati in modo corretto. A condizione cioè che si sia ricevuto un insegnamento dell’etica e della morale, la cui funzione, come ha sostenuto Vito Mancuso, è proprio quella di insegnarci “cosa fare e come fare” e di semplificare la nostra esistenza che di per sé presenta una complessità elevata. In altre parole di fornirci una “mappa” per poterci orientare: alla Politica questo compito, di distinguere l’intuizione individuale o una presunta natura morale dell’uomo che porta ad una propria interpretazione individuale, dalla ricerca della condivisione delle scelte.

Nel dicembre 2017 al summit ONU di Parigi sul clima per la prima volta è emerso a livello politico mondiale il concetto di irreversibilità riferito al cambiamento climatico della Terra. Ora non è più soltanto la comunità scientifica, ma un fronte sempre più vasto di personalità politiche a lanciare l’allarme su questo tema. Serve però farlo entrare nella mentalità collettiva e di riverbero sui nostri comportamenti quotidiani, in particolare per i paesi trainanti lo sviluppo e lo sfruttamento della Terra. Questo però non appare come un processo in corso, poiché nonostante oramai sia evidente che l’unico responsabile di questo cambiamento sia l’uomo, ai proclami non seguono azioni concrete e di fatto non si riscontrano cambiamenti di tendenza dal punto di vista climatico o ecologico. I rimedi proposti finoara nascono con finalità che non sono conformi alla ricerca di un equilibrio ecologico, ma solo di un equilibrio economico: due concetti apparentemente stridenti tra loro.

Si nota come a fianco di una esigenza che non parte solo da scienziati od esperti, ma ormai anche dalla politica e dalla società, in realtà la richiesta che viene fatta ai cittadini non è di un comportamento virtuoso ed una presa di coscienza collettiva del tema. Si punta a confondere il problema dell’inquinamento globale con la necessità di un “rientro economico” degli investimenti, fingendo che la volubilità del sistema finanziario globale non sia un fatto del tutto virtuale e che ogni piano di rientro economico non possa essere pensato oggi e smentito domani. L’assunto che va preso per vero dogma oggi, è quello energetico e non quello economico. Deve essere chiaro che l’energia non può essere illimitata in quanto per definizione è anzitutto immagazzinaggio di calore, e la restituzione di tale calore per quanto poco sia, è compreso dentro un sistema limitato e non più in grado di auto-rigenerarsi. L’eccesso di produzione e consumo di energia incide sull’equilibrio della Terra, quello di moneta virtuale no.

Al comportamento eco-compativbile individuale e collettivo va però associato un altrettanto virtuoso problema etico, relativo alla produzione ed allo sfruttamento dei lavoratori, cui la politica ha il dovere di dare una risposta, senza rifugiarsi dietro la necessità di salvaguardare il livello di ricchezza di una società a scapito di un’altra. Un equilibio ecologico che metta l’etica del lavoro e la dignità dell’uomo in primo piano, è possibile e necessario.

L’azione dell’Associazione si svolgerà nel rispetto del “manifesto civico”.

L’Associazione “Civici per Rovereto” è un soggetto territoriale autonomo, rivolto alla cittadinanza e al confronto politico-culturale con i soggetti attivi a livello provinciale aventi principi affini.

Rovereto riconosce la sua eccellenza in abito culturale, potendo contare su di una gamma di istituzioni e personalità prestigiose in quasi tutti i settori: artistici, umanistici e scientifici. Ripartire dalla “bellezza” significa riprendere possesso dei luoghi della città e del territorio, tornando a riconoscerli per il valore di bellezza che esprimono. Conciliare l’offerta culturale con l’imprenditorialità ed il commercio, occupare spazi tradizionali o nuovi con forme di eventi o spettacoli innovativi, che sappiano colmare le distanze oggi necessarie, con un coinvolgimento emotivo di un tipo finora inesplorato. La bellezza della nostra città, sia del centro storico che degli ambiti territoriali circostanti, fanno del territorio roveretano un esempio di come il paesaggio possa essere ricco di luoghi significativi e simbolici. I segni identitari sul territorio, infatti, sono tanti e tali che la possibilità di trovare fonti di ispirazione per una nuova rappresentazione di noi stessi è enorme. E va sfruttata come potenzialità inespressa che ora possiamo utilizzare.

Non è possibile pensare ad una città, un piccolo borgo, senza valorizzare il suo cuore nevralgico che è rappresentato dal centro storico e che rappresenta il suo punto di riferimento identitario. Ma allo stesso tempo è necessario pensare a nuovi luoghi di “centralità” in ogni circoscrizione o in quartieri di recente formazione e che ancora non hanno una propria identità definita. Il doppio quesito quindi diventa:

– Come rinnovare gli spazi che appaiono uguali al passato ma che nella realtà sono cambiati e cambieranno la loro immagine grazie agli interventi che saremo costretti a realizzare per poter ritornare a frequentarli?

– Come rinnovarci per viverli al meglio?

– Come individuare nuovi luoghi di aggregazione che si adattino alla realtà che ci aspetta?

Serve pensare ad interventi “estetici” che abbelliscano le piazze e le vie per trasformarle in luoghi accoglienti e ospitali. Mai come in questo frangente l’arredo urbano assume una valenza sociale centrale. Non si tratta più di mera funzione estetica, come talvolta è stato concepito l’intervento di arredo, ma di personalizzare ogni piazza con un allestimento che caratterizza e ricorda la storia di Rovereto e ne valorizzi la particolarità.

Si tratta di pianificare interventi estetici non “fini a se stessi”, ma che affiancati all’offerta dei commercianti implementano la proposta attrattiva della città per i nuovi turisti e i nuovi visitatori.

Le recenti riflessioni sulla città contemporanea hanno evidenziato la perdita di significato dello spazio pubblico come luogo di incontro e di relazione. Questa tendenza è riscontrabile anche nelle città come Roveeto, dove non è raro vedere piazze o parchi deserti o utilizzati in modo improprio. Questa progressiva disaffezione dei cittadini ad abitare lo spazio pubblico ha origini e motivazioni diverse:

– acquisizione di elevati livelli di mobilità, per lo più privata, che hanno reso disponibili luoghi esterni e distanti dalla città (laghi, montagne etc);

– presenza di spazi semi-pubblici, quali centri commerciali e parchi a tema, che hanno generato un’alternativa andando infine a modificare le abitudini delle persone;

– perdita di funzioni specifiche della città, per lo più poste a stretto contatto con lo spazio pubblico e che in passato garantivano la presenza e l’alternanza di persone (artigianato, attività artistiche, attività produttive, commercio alimentare di vicinato).

– Percezione riduttiva degli spazi “a verde” all’interno dell’abitato che appaiono scollegati ed isole.

Nel contempo la città è pervasa da un sentimento di paura, per lo più solo percepita. Tutto ciò che non è presidiato, recintato o “a pagamento”, rappresenta una potenziale minaccia e di conseguenza rifiutato. Non a caso, in quest’epoca, la città è sempre più identificata come luogo dove si annidano i mali della società (criminalità, inquinamento, incuria etc), a differenza della montagna e della campagna, dove al contrario sembrano acquietarsi tutte le nostre paure. Ciononostante la maggioranza della popolazione vive in città, e alla città si rivolge per trovare soddisfazione ai propri bisogni materiali e immateriali.

Tutto ciò ha fatto sì che lo spazio pubblico della città contemporanea non sia più “abitato”, ma solamente “utilizzato”. Gli abitanti si sono trasformati in city-users (“utenti di città”), che pagano il parcheggio per fare le proprie commissioni e poi tornano nelle loro abitazioni dalle quali, grazie alla facilità di accesso tecnologia digitale, possono raggiungere una svariata gamma di servizi (acquisti, svago etc). Le motivazioni di tale disaffezione vanno però ricercate anche al livello di qualità degli spazi pubblici: spazi per lo più progettati al solo scopo di rispettare certe tipologie di standard, ovvero i metri quadrati per abitante. È quindi necessario smettere di pensare al singolo spazio pubblico, ma piuttosto ad una sequenza, secondo un approccio ed una logica che individuino le precise caratteristiche di ogni luogo, ne differenzino la funzione e ne favoriscano la connessione. Indipendentemente dalla durata dell’emergenza sanitaria, urge un ripensamento degli spazi di prossimità, affinché siano dotati di strutture e servizi che rispondano a nuove categorie di bisogni. In altre parole, uno spazio pubblico pensato per una città “accessibile”.

Il tema della pubblica sicurezza è certamente uno dei più sentiti dalla collettività anche se Rovereto è da annoverare tra quei territori per i quali è possibile associare un livello di benessere soddisfacente al concetto di sicurezza. Questo dato favorevole potrebbe tuttavia mostrare un lato di fragilità se la percezione di sicurezza nei cittadini non fosse costantemente supportata dalla capacità delle istituzioni titolate a saperla garantire. La città nasce proprio come ambito di sicurezza per le persone, per le attività artigianali, per gli scambi commerciali. Nel passato l’insicurezza era percepita all’esterno delle città, al di fuori dei confini urbani, dove la vigilanza non arrivava.

Oggi invece la percezione di insicurezza si rinviene nel tessuto urbano: disagio sociale, difficoltà di integrazione e accettazione, comportamenti incivili, degrado urbano e non ultimo, crisi economica, risultano essere gli elementi scatenanti il senso di incertezza e di preoccupazione nei cittadini. La sicurezza è quindi un nuovo diritto di cittadinanza che non si limita alle sole azioni di prevenzione dei reati ma ha come obiettivo la promozione di migliori condizioni di vivibilità attraverso interventi di integrazione sociale, controllo dei conflitti, pianificazione urbanistica, educazione alla legalità. Un percorso, non sempre facile, che si misura con l’allargamento delle libertà di tutti, l’eliminazione dei fattori di marginalità ed esclusione sociale, la capacità di elaborazione di strumenti predefiniti atti a stimolare mediazione, relazioni e tolleranza nonché l’incentivazione del mantenimento e, ove possibile, del miglioramento del decoro urbano.

In sintesi si costruisce sicurezza solo se, nel rispetto di regole di convivenza condivise e non imposte, si raggiunge più libertà e autonomia per tutti e se vengono assicurati i diritti fondamentali.

La fase che si sta aprendo rappresenta un paradosso unico nella storia, che fa divenire il necessario ripensamento attorno al nostro modo di vita non solo una opportunità, ma una necessità. Attualizzare un comportamento etico passa attraverso la condizione che i comportamenti razionali dell’uomo siano stati educati e programmati in modo corretto. A condizione cioè che si sia ricevuto un insegnamento dell’etica e della morale, la cui funzione è proprio quella di insegnarci “cosa fare e come fare” e di semplificare la nostra esistenza che di per sé presenta una complessità elevata. In altre parole di fornirci una “mappa” per poterci orientare: alla Politica questo compito, di distinguere l’intuizione individuale o una presunta natura morale dell’uomo che porta ad una propria interpretazione individuale, dalla ricerca cella condivisione delle scelte.

L’intero sistema economico, ed in particolare l’approccio alla produzione ed ai consumi, necessita di un approccio “etico” che le comunità locali possono e devono innescare. La mobilità è uno dei punti dolenti dell’attuale disequilibrio oramai sempre meno eco-sostenibile. L’emergenza ha rimesso totalmente in discussione il concetto stesso di “trasporto pubblico”, dovendo infatti garantire il distanziamento sociale, è impensabile che autobus e treni aumentino esponenzialmente i propri servizi per ovviare alla capacità forzatamente ridotta dei mezzi. Ciò significa che si assisterà ad un inevitabile recupero delle forme private di mobilità, con evidenti ripercussioni sull’ecosistema della Vallagarina, sulla viabilità e sulla vivibilità della città. Si sono improvvisamente moltiplicati i mezzi per lo spostamento quali bici-elettriche e monopattini elettrici, che non risultano compatibili con il vecchio schema di divisione della città in pedoni/bici/auto. Serve procedere con l’estensione degli “spazi condivisi” così come già sperimentato in via Dante ed in via Rialto in particolare per i centri densamente abitati, e procedere con i collegamenti protetti tra le zone residenziali e quelle per scuola o lavoro. Serve altresì da una parte incentivare una cultura per l’uso di mezzi alternativi all’automobile, dall’altra strutturare la città per poter usare i mezzi alternativi anche nelle stagioni meno favorevoli od in caso di pioggia.

La mancanza di una viabilità di tangenziale est ed ovest della città, ostacola la possibilità di decongestionare molte vie del centro abitato, con grave ripercussine sulla qualità della vita, creando ostacolo non solo alla mobilità alternativa all’auto privata, ma anche al trasporto pubblico. Questo in particolare ha bisogno di essere ripensato non soltanto per le scuole, ma anche attraverso l’introduzione di mezzi che si adattino ai centri storici o consolidati. Il sistema di mobilità privato o pubblico che sia, deve adattarsi alla storia ed all’architettura, e non viceversa

Questi mesi hanno dimostrato inequivocabilmente che molte mansioni possono essere svolte in Smart Working. È auspicabile che le aziende o i pubblici uffici continuino ad operare secondo questa mobilità; ciò eviterebbe un ritorno improvviso e massiccio di traffico nelle ore di punta, ed al contempo ridurrebbe il pericolo di assembramenti nei luoghi di lavoro. Per chi fosse comunque costretto a non lavorare da casa (quindi in ufficio, azienda, fabbrica etc), sarebbe opportuno rendere più flessibili gli orari di ingresso ed uscita.

La crisi porta progressi e la creatività nasce proprio da periodi di crisi. Cerchiamo di pensare al Covid come opportunità per cercar nuove idee e nuove azioni da mettere in campo e che ci permettano di migliorare il nostro status rispetto a prima della pandemia. Oggi si deve procedere per piccoli passi cercando di muoversi in più direzioni con iniziative mirate e diffuse che per essere efficaci devono essere azioni di rete. Che coinvolgano più settori e che siano inclusive, coinvolgendo più sensibilità.

Oggi più che mai è necessario ripartire affidandosi a talenti non valorizzati, a partire da quelli femminili. Serve una società che li valorizzi con opportunità nella vita sociale, professionale e politica. Una città che sa scegliere le donne per gli incarichi di responsabilità e che promuove il Bilancio di Genere.

Parallelamente oggi serve valorizzare le potenzialità inespresse legate ad una società a misura di tutti, che sappia slegarsi da logiche meramente di produzione di reddito ma abbia al centro l’attenzione ad una cultura legata all’identità territoriale. La filiera corta è una strategia che implica rapporti sociali diretti e dà ai produttori un ruolo attivo nel sistema economico perché si concentra sulla produzione locale. E’ un sistema ormai abbastanza diffuso nella produzione di cibo ma a Rovereto oggi potrebbe da un lato favorire la commercializzazione di prodotti locali a km 0, genuini, a prezzo inferiore, e dall’altra dare un’occupazione a chi ha perso il lavoro e vive in situazioni di necessità.

La salute e la sua tutela ha imposto un cambio di abitudini: scopriamo la stagionalità, la qualità, la genuinità e la consegna a domicilio o la necessità di frequentare ambienti, mercati all’aperto, in grado di garantire ordine, distanze di sicurezza. Queste nuove abitudini rappresentano un cambio culturale fondamentale, e non verranno facilmente abbandonate se accompagnate dalla consapevolezza collettiva di convenienza e qualità dei prodotti locali. Il progetto di filiera corta in ambito agricolo potrebbe consentire di riqualificare spazi un tempo agricoli che sono diventati incolti e convertirli in campi; di creare posti di lavoro per l’attività di sistemazione degli spazi; di creare posti di lavoro per l’attività di produzione agricola; di coinvolgere le famiglie in stato di necessità dando loro la dignità di un lavoro: potrebbero coltivarsi, almeno in parte, il loro fabbisogno di “fresco”; di vendere sia direttamente che nei negozi della città prodotti freschi, a km zero e quindi a prezzi più competitivi. Solo una filiera corta può innescare una economia circolare allargata cioè anche ai prodotti del secondario.

L’ecologia è un sostantivo femminile: “la scienza che ha per oggetto lo studio delle funzioni di relazione tra l’uomo, gli organismi vegetali e animali e l’ambiente in cui vivono”. L’ambiente è invece un sostantivo maschile che ha due possibili definizioni: 1. Lo spazio circostante considerato con tutte o con la maggior parte delle sue caratteristiche. 2. Complesso di condizioni sociali, culturali e morali nel quale una persona si trova, si forma, si definisce.

Ecologismo ed ambientalismo vengono oggi considerati termini analoghi. In realtà l’ecologismo si concilia con un approccio paesaggistico della pianificazione del territorio, l’ambientalismo no. Il termine “paesaggio” è definito come una zona o un territorio, quale viene percepito dagli abitanti del luogo o dai visitatori, il cui aspetto e carattere derivano dall’azione di fattori naturali e/o culturali (ossia antropici). Tale definizione tiene conto dell’idea che i paesaggi evolvono col tempo, per l’effetto di forze naturali ma soprattutto per l’azione degli esseri umani, e sottolinea l’idea che il paesaggio forma un tutto, i cui elementi naturali e culturali vengono considerati simultaneamente. Nell’ottica di raggiungere tale equilibrio la città moderna, che è composta da un fitto intreccio di connessioni fisiche e virtuali tra le abitazioni, deve chiedersi quali sono i comportamenti virtuosi da assumere per essere un organismo eco-compatibile.

A Rovereto sono state gettate le premesse per una pianificazione che abbia il concetto di paesaggio quale guida, e che sappia lavorare da una parte sull’identità dei luoghi e le percezioni che devono tornare ad assumere i segni della nostra storia e della nostra cultura come punti di riferimento, dall’altra sull’equilibrio ecologico che sottende ogni scelta, oggi più che mai indispensabile. In risultato di questo equilibrio necessario, è misurabile con la qualità della vita, fatta di rapporti e di servizi, di funzioni e di semplificazione delle azioni quitidiane.

E’ necessaio evolvere lo studio del rapporto tra gli spazi edificati e non edificati, riconoscendo la necessità di saper riconoscere che oramai tutto il territorio è antropizzato, e come tale è “paesaggio”, e pertanto vanno ricercate le regole dell’equilibrio che ogni luogo deve assumere. Con questa logica le aree oggi considerate marginali ma vitali per la vita della città animate da commercio o servizi, anche se non tutelate da perimetri, necessitano di un approccio non ideologico che parta da un coerente progetto di rigenerazione urbana destinato alla zona della deindustrializzazione.

Serve infine ribadire la necessità di avere le tangenziali est ed ovest di Rovereto, unica realtà urbana trentina attraversata da traffico di attraversamento e priva della possibilità di attraversamento veloce della città con automobili. L’approccio ai sistemi di trasporto alternativi oggi in piena evoluzione (mezzi elettrici, E-bike e monopattini su tutto) necessita di perseguire la logica dello “spazio condiviso” che si sta sperimentando in centro storico, e ricercare una logica differente di approccio al centro cittadino che non sia più quella dell’attraversamento, ma che parta da un punto di arrivo per i veicoli rappresentato dai parcheggi di assestamento, a servizio del centro densamente abitato.

Parlare di turismo a Rovereto ed in Vallagarina, significa uscire da un ristretto ambito di turismo leisure (puro svago) e aprirsi a nuove forme di attrattività per la città. Per vocazione la città è città aperta al turismo culturale tradizionale (grazie a musei, eventi artistici, enogastronomia locale) ma anche a tipologie di offerta legate alla vocazione didattica e commerciale della città; pensiamo agli studenti e docenti universitari, partecipanti a convegni specializzati e aziende nuove che si insediano in ambiti quali Meccatronica, Manifattura e Trentino Sviluppo.

Una città come Rovereto deve avere una strategia ad ampio raggio, orientata all’attrattività di soggetti che vanno oltre la logica del turismo “mordi e fuggi”. Questo genere di frequentazione, infatti, spesso delude le aspettative del sistema commerciale cittadino. Rovereto dovrà quindi sempre più puntare su forme di turismo meno legate a numeri – poco impattanti economicamente – e privilegiare visitatori individuali culturalmente preparati a destinazioni di nicchia. Per promuovere un turismo che integri cultura, territorio, sport, l’APT deve operare in stretta collaborazione con le omologhe sedi di Trento o dell’Alto Garda per organizzare pacchetti che fondano turismo didattico, fruizione dei musei e prodotto enogastronomico dei territori circostanti; una strategia che ben si coniugherebbe con la crescente offerta di nuovi alloggi B&B che sta connotando la città, piuttosto che sulla ricettività alberghiera.

Sono molte le opportunità che la cultura roveretana ha saputo creare e proporre negli anni: le scuole, i musei, le associazioni, le fondazioni di alti studi etc. Fra questi istituti, quelli apparentemente più prolifici sono i musei, per i quali serve tuttavia superare il concetto tradizionale di “luogo della conservazione” e della esposizione didattica fine a sé stessa. Le istituzioni museali devono necessariamente aprirsi alla società sull’esempio del Museo Civico col Museo della Città, diventando laboratori di idee e sperimentazione aperti alla comunità. Per questo serve che i musei abbiano le porte aperte per i cittadini della Vallagarina, e siano per gli stessi luogo di apprendimento, crescita, creatività e confronto.

Uno dei sistemi museali più interessanti ma finora estremamente statico è il MART, oggi concepito come una sorta di masso erratico depositatosi a Rovereto con scarsi legami territoriali. Il ruolo del MART dovrebbe essere fondamentale per lo sviluppo culturale non solo della città, ma di tutta la Provincia. È necessario che il MART non si limiti al ruolo espositivo, ma divenga promotore di ogni espressione creativa dell’uomo: dalla danza alla musica, dalle arti visive ad ogni forma di espressività. In questo modo è pensabile un ruolo ed una presenza del museo in chiave moderna in tutte le manifestazioni trentine, allo scopo di valorizzarne l’aspetto culturale. Il progeto di collegare la piazza del MART coi giardini di Palazzo Fedrigotti dell’Università, col corso Bettini, rappresenta un segnale decisivo per allargare la connessione tra il Museo e la città, coinvolgendo gli spazi pubblici, il verde (collegato a sua volta con il Bosco della Città) e istituzioni prestigiose quali appunto il MART e l’Università stessi.

I Musei roveretani che più sono legati al territorio, per storia, vocazione o perché rappresentano una memoria che coinvolge l’intero territorio, sono il Museo Civico ed il Museo della Guerra. Il primo ha inaugurato una nuova sede presso il Palazzo Sichardt, inaugurando il “Museo della Città” che rappresenta la vetrina sia del capillare lavoro a livello scientifico e culturale storicamente svolto dall’Istituzione Museo Civico, sia un vero e proprio spaccato della ricchissima varietà della proposta culturale che Rovereto può vantare. Un percorso dal quale partono richiami territoriali che spaziano dai luoghi rosminiani alle orme dei dinosauri, da Zandonai agli archeologi, da Depero ai percorsi cittadini dell’architettura storica: una funzione con forte valenza turistica in via di strutturazione che richiede la collaborazione di APT, oltre che di tutte le altre istituzioni culturali.

Il Comune di Rovereto, socio del Museo della Guerra, sta mettendo a disposizione un nuovo spazio espositivo in piazza Podestà (ex Caserma D. Chiesa) che permetterà di avere una ulteriore vetrina sulla via storica oggi la più attrattiva per i turisti, ed allo stesso tempo incentivare la apertura di conoscenza del territorio che il Museo promuove, attraverso la manutenzione e le visite alle trincee ed i forti della Vallagarina.

I forti e la Campana dei caduti, sono luoghi simbolo della memoria ma soprattutto possono tramutarsi in luoghi della riflessione, di stimolo per una visione del futuro in cui l’uomo può affrancarsi. Il loro ruolo è quindi duplice – rappresentando da un lato memoria e conservazione, e dall’altro una proiezione rivolta al futuro – ma questa funzione va comunque intesa a generare una cultura che annulli le contrapposizioni ideologiche ed i confini statali per condurre l’animo umano verso la pace.

La più grande ricchezza di Rovereto sta nel volontariato che attraverso l’associazionismo sociale, culturale e sportivo ne fa una delle città con il miglior rapporto pro-capite d’Italia.

Il sostegno alle associazioni di natura sociale è al centro dell’azione amministrativa e dei Servizi Sociali in particolare attraverso azioni di sostegno logistico e burocratico. Rovereto rappresenta da anni una eccellenza in questo campo per i servizi che sa offrire, e riconosce la valenza sociale anche per le associazioni con una finalità diversa quali l’associazionismo sportivo. A Rovereto questa è una realtà diffusa e importante, con decine di associazioni e centinaia fra dirigenti e tecnici-animatori, che consentono a migliaia di giovani di praticare lo sport ai vari livelli (promozionale, agonistico, amatoriale) con un’offerta varia e articolata, grazie anche ad una dotazione di impianti di indubbio valore. Ma le strutture materiali, per quanto importanti, sarebbero cattedrali nel deserto senza la passione e l’entusiasmo dei volontari che tengono in vita le società sportive. Il movimento sportivo rappresenta un fenomeno sociale, educativo ed anche culturale di primaria importanza: per i ragazzi in primo luogo, ma anche per gli adulti e i meno giovani, con importanti ricadute anche sul benessere di tutti i cittadini – e quindi fonte indiretta di risparmio sulle spese per la salute. L’associazionismo sportivo è da sempre abituato a fare i conti con le difficoltà di finanziamento, potendo contare su poche entrate dirette (quote di iscrizione), contributi di enti pubblici e sponsorizzazioni di aziende private.